La prosocialità: caratteristica fondamentale nel benessere psicologico

La prosocialità è un concetto ampiamente studiato, che descrive la tendenza a compiere azioni volte a favorire il benessere degli altri senza aspettarsi ricompense esterne. Questo comportamento è stato definito da Caprara come «la tendenza comportamentale o disposizione personale volontaria diretta a fare del bene agli altri».

Le prime ricerche sulla prosocialità sono emerse alla fine degli anni ‘60, in particolare a seguito del caso di Kitty Genovese, una donna uccisa sotto gli occhi di numerosi testimoni che non intervennero per aiutarla. Questo episodio scatenò l’interesse degli studiosi, che si chiesero perché le persone spesso non agiscano in situazioni di bisogno. In base alle ricerche di Small, Zeldin e Savin-Williams, un’azione è considerata prosociale se beneficia qualcuno, non è dovuta a obblighi di ruolo e viene compiuta in modo spontaneo, senza aspettative di ricompensa. Tuttavia, oltre agli aspetti comportamentali, è importante considerare le intenzioni e le motivazioni psicologiche sottostanti.

La condotta prosociale, se non attuata con attenzione, può generare effetti indesiderati, come il rafforzamento di credenze egocentriche nel donatore o il senso di inadeguatezza nel ricevente. Il proverbio “vale più dare che ricevere” non sempre si applica, poiché a volte l’assenza di intervento può risultare la scelta più saggia. In alcune situazioni, infatti, il desiderio di aiutare può essere dannoso se non rispetta l’autonomia del destinatario.

Gli studiosi hanno proposto diverse teorie sulle origini della condotta prosociale, tra cui quella biologica, che la attribuisce a un istinto di altruismo naturale, e quella sociale, che evidenzia il ruolo dell’esperienza e della socializzazione. Ad esempio, secondo Bowlby, il tipo di attaccamento tra bambino e caregiver influenza lo sviluppo delle capacità prosociali.

La prosocialità può manifestarsi in vari modi, come l’altruismo, che implica il sacrificio per il bene degli altri, e la cooperazione, volta a raggiungere un obiettivo comune. Altre forme includono l’empatia, la solidarietà e il volontariato, tutte azioni che promuovono il benessere sociale senza una ricerca di vantaggi personali. L’empatia, in particolare, è un elemento chiave per la prosocialità, poiché consente di comprendere e rispondere alle emozioni degli altri.

Diversi fattori, sia personali che situazionali, influenzano la predisposizione a comportamenti prosociali. Tra i fattori personali ci sono l’età, il sesso, lo stato socio-economico e l’umore. Ad esempio, i bambini più piccoli tendono a compiere azioni prosociali quando sono da soli, mentre gli adolescenti possono essere influenzati dalla ricerca di approvazione sociale. A livello situazionale, la disponibilità di tempo e la chiarezza delle richieste sono determinanti: un contesto favorevole aumenta le probabilità di un intervento prosociale.

In conclusione, la prosocialità porta numerosi benefici, non solo per chi riceve aiuto, ma anche per chi lo offre. Le azioni prosociali sono correlate al successo scolastico, al benessere psicologico e alle relazioni interpersonali. In età adulta, possono anche contribuire a mantenere una vita sociale attiva e appagante. La prosocialità è quindi un comportamento fondamentale per il benessere individuale e collettivo, che arricchisce la vita di significati e relazioni positive.

 

Articolo a cura della Dott.ssa Giulia Bucci

 

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